E così, caro pirata, siamo arrivati a un anno di burrasca.
(Abbi pazienza per qualche paragrafo; mi lancerò in qualche pensiero nostalgico, ma arriverà anche la parola della settimana, giuro)
Il 2 Febbraio 2020, in tempi non sospetti e scevra di minacce pandemiche, nasceva questa newsletter. Era da qualche settimana che studiavo come iniziarla, ma, non a caso, scrissi la primissima newsletter il giorno di Imbolc, la festa celtica che, nel giorno in cui culmina l’inverno - cioè a metà tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera - celebrava la luce e il suo ritorno. Dopo i mesi più rigidi e difficili, fatti di buio e spesso di fame, durante questa giornata si accendevano candele* e si festeggiava l’inizio dell’allungarsi delle giornate e il ritorno della stagione calda e delle verdure che non sanno di scoreggia.**
Per me, iniziare la burrasca in quel giorno, significava darle un’importanza maggiore, un senso di rinascita, di nuovi progetti che iniziavano. Era anche importante proprio smettere di procrastinare e iniziarla, sta burrasca, anche se non sapevo ancora cosa sarebbe stata.
Ci ho messo del tempo, infatti, a decidere cosa avrei scritto. I primissimi iscritti, tra di voi, ricorderanno forse le prime newsletter ricevute: recensioni di libri, o di serie tv; primi pensieri sul lockdown; un articolo sull’occhio protesico più vecchio del mondo; finché un giorno, il 16 aprile, decisi cosa avrei scritto su questo diario di bordo. Così, con la prima parola difficile - onusto - iniziò la burrasca che ricevete oggi.
Forse quindi dovrei dire che la burrasca è nata il 16 aprile, e non il 2 febbraio. Tuttavia mi oppongo a questo pensiero per due motivi:
La burrasca, così com’è oggi, è nata proprio perché non ho aspettato di sapere cosa ci avrei fatto: ho iniziato, ed è arrivata da sola. E non sarebbe arrivata così com’è oggi se non avessi fatto così.
Non c’è nessuna festa interessante il 16 aprile e io VIVO di simbolismi.
Perciò, senza ulteriori indugi, vi invito a festeggiare con me il genetliaco della burrasca.
La parola genetliaco oggi significa semplicemente “compleanno”. Viene dal suo diretto corrispettivo greco, genethliakòs (γενεϑλιακός), forma genitiva del termine genéthlios, (γενέϑλιος), che significava «natale» - non nel senso di Santo Natale, anche perché fate due più due e i conti non tornano, ma nel senso di “nascita”.
Genethliakòs (γενεϑλιακός), essendo la sua forma genitiva, significa “della nascita” nel senso di “relativo alla nascita di qualcuno” - per esempio, si chiamavano genetliaci gli indovini che facevano gli oroscopi. Oggi la forma genetliaco è passata a noi con il senso di “compleanno”, che per la nostra concezione non è una parola che indica genericamente quello che pertiene la nascita di una persona, ma designa un giorno specifico, per molte culture importante, e in ogni caso un anniversario degno di nota.
Sulla storia della parola genetliaco, due punti interessanti da toccare:
Anche se potremmo fermarci qui nel descrivere l’etimologia di genetliaco - da genethliakòs a genetliaco il gradino è semplice - è interessante*** andare un pochino più a fondo ed esplorare le radici - letteralmente - che stanno alla base. La parola genetliaco fa parte di tutte quelle parole relative alla nascita e alla generazione che provengono dalla radice indoeuropea -genə. Da questa radice vengono parole come generare, genere, genetica, ma anche genio - perché in Latino genius ha l’accezione di una divinità creativa, uno spirito che è creatore e perciò ingegnoso. Alla stessa famiglia appartengono anche engine, motore, in inglese, ma anche germe, poiché inteso come seme - quindi legato alla nascita - o gonadi, dalla forma in -o della radice principale. Altre parole che appartengono a questa famiglia ma che ora non spiegherò, sono kind, benigno/maligno, wunderkind, nazione, rinascimento, gendarme, king. Divertitevi :D
La ragione per cui genethliakòs non traduce perfettamente “compleanno” sta in quello che ci dicevamo prima sulla concezione di compleanno. Nell’antica Grecia non venivano festeggiati i compleanni, tranne quelli delle persone importanti, re, divinità e nobili. Non aveva senso quindi avere una parola generica per l’anniversario della nascita di qualcuno: piuttosto nel giorno specifico si diceva che si festeggiava quella specifica persona, e basta. La tradizione di festeggiare il compleanno di tutti, poi, è recentissima per il mondo occidentale: il cristianesimo e l’ebraismo per secoli rifiutarono le celebrazioni del compleanno, proprio perché era una “festa pagana” - di Egizi, Greci e Romani - e in più nella Bibbia viene menzionato la festa per il genetliaco di due sole persone: Faraone ed Erode. Non proprio i simboli che piacevano a loro. Per i cristiani, poi, lungo il medioevo si attesta la consuetudine di celebrare l’onomastico, più accettabile visto il coinvolgimento dei santi, ma la nobiltà, che notoriamente si sente esentata dalle regole degli altri, festeggiava il proprio compleanno senza problemi. Piano piano l’usanza si è diffusa sempre di più, ed è diventata un’usanza popolare con l’istituzione delle anagrafi nazionali: in effetti è difficile festeggiare il tuo compleanno se non sai quando sei nato.
*à propos, è passata al cristianesimo come la festa della Candelora.
**pure a me piacciono le verze ma se poi la casa sa di cloaca tutte le volte che le cucini ci credo che festeggi l’arrivo dei peperoni
***è interessante anche perché ho comprato questo libro e devo giustificarmi l’acquisto.
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Sono un nuovo iscritto e questa newsletter è super!
Grazie per ricordami che ormai l'inverno è quasi finito <3