Ciao pirati,
Vi siete mai chiesti se tutte le persone vedono lo stesso blu?
Mi spiego meglio; parlando tra amici sembra che in tantissimi a un certo punto della nostra vita ci siamo posti la stessa domanda filosofica: come possiamo sapere se, quando due persone puntano il dito a un colore chiamandolo “blu”, lo stiano percependo allo stesso modo?
È possibile che quello che tu chiami “blu” lo percepisci in realtà come il colore che io chiamo “verde”?
È una domanda divertente che permette a molti di fare i primissimi passi nel pensiero filosofico e nella differenza di concetto tra ciò che è, ciò che si percepisce, ciò che si chiama e ciò che viene pensato; credo però che molti, dopo essersi posti questa domanda, concludano che i colori sono una lunghezza d’onda che noi percepiamo tramite un apparato visivo dalle capacità tutto sommato misurabili e che quindi non ci sia niente di relativo.
Insomma, un divertente esercizio, giusto? Non c’è niente di opinabile riguardo la scienza delle lunghezze d’onda e le nostre diottrie1, se non fosse che in questo scambio in cui tutti indichiamo una macchia di colore e diciamo che colore è c’è un attore che non stiamo considerando: il linguaggio.
Questa è la terza puntata di una miniserie su come chiamiamo i colori, che in realtà è una miniserie su come la lingua influenza la nostra percezione del mondo: potete recuperare la prima e la seconda puntata a questi link.
In effetti, nelle puntate precedenti abbiamo stabilito che il rapporto tra 1) lunghezza d’onda 2) percezione del colore 3) nome che diamo al colore, non è dei più lisci. Non tutte le lingue possiedono un nome per tutti i colori, e alcune utilizzano lo stesso nome per indicare colori che nella nostra lingua sono invece distinti, come il blu e il verde che per noi sono due colori ma per i giapponesi è un colore solo chiamato ao (青).
A questo punto ci chiediamo: è una mancanza linguistica, oppure indica davvero una diversa percezione dei colori? I giapponesi non vedono la differenza cromatica tra il blu e il verde oppure la vedono e sono troppo pigri per usare due parole diverse?
La verità è sorprendente: è possibile che la lingua che parliamo influenzi la nostra percezione e i nostri sensi; in parole povere, se non abbiamo una parola per distinguere il verde dal blu, è possibile che siamo meno capaci di percepire questa distinzione.
Esistono infatti esperimenti accademici sulla capacità di distinguere i colori che paragonano solitamente un campione di partecipanti di lingua inglese con un campione di partecipanti di un’altra lingua posti di fronte a sequenze di quadrati colorati in cui devono indicare quale, tra i quadrati proposti, sia di un colore diverso dagli altri.
Si scelgono partecipanti appartenenti a lingue che categorizzano i colori in modi diversi; per esempio, nella figura sopra, la chiave di volta è questa: l’inglese non possiede dei termini base per diverse sfumature di blu; per l’inglese ognuno di questi colori è blue e basta.
Altre lingue invece distinguono il blu chiaro dal blu scuro come se fossero due colori ben diversi e con due parole che non hanno parentela tra loro: è il caso del russo goluboy (голубой), azzurro, e siniy (синий), blu, o del greco moderno galàzio (γαλάζιο), azzurro, e ble (μπλε), blu, ma anche dell’italiano, come avrete notato: noi distinguiamo in due colori differenti, azzurro e blu.
Se avete studiato inglese a scuola vi avranno insegnato i vocaboli per i colori tra le prime parole da imparare e probabilmente vi avranno detto che il termine inglese per azzurro è light blue, ma è una semplificazione: gli inglesi non hanno davvero un termine per l’azzurro, mentre noi sì: per noi è chiaro che dire “blu chiaro” e dire “azzurro” non è esattamente la stessa cosa.
Proprio perché questa distinzione per noi è chiarissima, il risultato dell’esperimento non dovrebbe sorprenderci: i parlanti inglesi sono più lenti nell’identificare i colori nel momento in cui devono distinguere un quadrato azzurro da uno blu; l’ipotesi è proprio che sia perché per la loro mente quei quadrati non sono azzurri e blu, ma blu e basta.
In esperimenti successivi è stato osservato come il risultato cambi se i quadrati da identificare sono posizionati sulla destra o sulla sinistra del foglio; la collocazione del quadrato infatti influenza l’area del cervello con cui la percepiamo: quando il quadrato appare nella zona di sinistra tutti i partecipanti impiegano lo stesso tipo di tempo e “fatica” nell’identificazione, mentre se appare nella zona di destra i parlanti di russo/greco/italiano presentano un vantaggio. Questo potrebbe davvero essere perché le informazioni presentate al nostro occhio destro hanno una corsia preferenziale verso l’area del linguaggio del nostro cervello, mentre le informazioni presentate all’occhio sinistro devono essere trasferite attraverso il corpo calloso prima di poterla raggiungere, cosa che significherebbe che la lingua che parliamo ha davvero un’influenza sulla capacità di percepire il colore.
Se venga prima l’uovo o la gallina, la percezione o la lingua, non saprei dire, ma non lo sanno dire nemmeno gli accademici. Questi esperimenti nascono dallo studio di un antropologo statunitense, Benjamin Lee Whorf, e sono tutti volti a confermare o confutare la sua teoria della relatività linguistica, spesso citata come “ipotesi di Sapir-Whorf” o anche “teoria whorfiana”, secondo cui le differenze tra le lingue sono la causa delle differenze tra i modi di percepire e capire il mondo da parte di chi le parla.
E voi che ne pensate? Credete che la lingua abbia la capacità di influenzare i nostri sensi? Credete che il mio blu sia il vostro blu?
Grazie dell’attenzione pirati! La miniserie sulla lingua e la percezione de colori finisce qui. Ci vediamo settimana prossima con un’altra etimologia!
Affascinante burrasca!
Pensare che le nostre strutture cerebrali possano essere differenti in base alla lingua madre apre a molte altre riflessioni e supposizioni!
La lingua italiana, così articolata e complessa, viene sotto-utilizzata e, spesso, vituperata. L'utilizzo e la conoscenza dell'italiano può influenzare il cervello? Può influenzare il modo di vivere le esperienze e l'approccio alla realtà? Sicuramente influenza il pensiero .
Io sono d'accordo con Heidegger: la qualità del linguaggio migliora quella dei nostri pensieri. E viceversa.