Ciao pirata,
Questa puntata della burrasca è parte di una serie sul tema dei nomi dei colori nelle lingue del mondo; se avete perso la prima puntata potete recuperarla qui; abbiamo parlato di come, nell’evoluzione di una lingua, i colori non vengono nominati subito tutti ma che esistono delle fasi: 1) bianco/chiaro vs nero/scuro, 2) rosso; 3) verde o giallo 4) verde o giallo a seconda della fase tre 5) blu, e così via.
L’interesse per questo argomento è squisitamente psicolinguistico: il modo in cui chiamiamo i colori ha il potenziale di essere un argomento particolarmente esplosivo - ed effettivamente è un’intera branca di studi linguistici - perciò gli dedichiamo un po’ di tempo di navigazione in più.
Questa puntata potremmo iniziarla in tanti modi ma, poiché non è una burrasca senza un aneddoto un po’ folle, iniziamo parlando dei semafori giapponesi.
Non notate qualcosa di strano?
Non vi sembra che una delle luci di questi semafori sia…blu?
Se fate una veloce ricerca su Google scoprite che in Giappone è possibile incontrare dei semafori in cui il colore assegnato al permesso di procedere non è chiaramente e categoricamente verde, nonostante la Convenzione di Vienna sulla segnaletica stradale del 1968 imponga il rosso come colore per fermarsi e il verde come colore per avanzare.
Il Giappone iniziò a installare i suoi semafori nel 1930 e i primissimi semafori che produsse erano identici a quelli originali, europei e statunitensi: rossi, gialli e verdi.
Il problema che stiamo per scoperchiare è squisitamente linguistico e risiede nelle parole giapponesi ao (青) e midori (緑). Il primo termine, ao (青), è antichissimo; designa un colore legato alla vita, alla nascita, alla giovinezza e alla forza vitale, ma questo dipende assolutamente dal contesto: in italiano lo tradurremmo come blu se riferito al cielo, o all’acqua; e come verde se riferito all’erba o ai germogli1.
Chiariamo: per la lingua giapponese questo è lo stesso colore; siamo noi a distinguerlo in blu e verde perché abbiamo la necessità linguistica di dire che l’erba non è blu e il cielo non è verde, ma per almeno un millennio il Giappone ha guardato l’erba e il cielo e ha detto ao (青).
Cos’è invece midori (緑)? Si tratta di una parola che nasce nel Periodo Heian (794-1185) per indicare una sfumatura specifica del colore ao (青), un po’ come se noi, dopo aver chiamato il cielo e l’erba blu per un millennio, iniziassimo a dire“blu erba” per distinguere una sfumatura specifica di blu che riconosciamo essere diversa da quella del cielo.
Con il tempo la parola midori (緑) iniziò a essere utilizzata specificamente per indicare il colore verde, ma questo avvenne un forzatamente per due motivi:
La Crayola nel 1917 iniziò a esportare i suoi pastelli a cera in Giappone ed ebbe bisogno di stampare delle etichette per i pastelli blu e quelli verdi che distinguessero questi due colori tanto quanto erano distinti nell’originale inglese, scegliendo di diversificarli in ao (青) e midori (緑), influenzando per sempre il parlato dei bambini che iniziarono a usare i termini nello stesso modo.
Durante l’occupazione delle forze Alleate del secondo dopoguerra gli Stati Uniti diffusero dei loro materiali educativi al sistema scolastico giapponese e nel 1951 gli insegnanti delle scuole elementari ricevettero materiali che, tradotti dall’inglese, distinguevano nelle lezioni il blu dal verde, chiamandoli ao (青) e midori (緑).
Quindi, qual è il problema dei semafori blu?
Quando il Giappone installò i primi semafori nel 1930 dichiarò nei documenti ufficiali che i semafori erano color ao (青), non midori (緑); ma il rapporto con il mondo esterno costrinse presto i giapponesi a fare i conti con l’affermazione sempre più netta della distinzione tra ao (青) e midori (緑) nella loro lingua: potevano continuare a chiamare un semaforo blu nel momento in cui la loro lingua iniziava a possedere un nome definito per il verde?
Nel 1973 il governo giapponese adottò la soluzione più divertente del mondo: invece di cambiare documenti e nomenclatura per chiamare definitivamente il colore dei semafori midori (緑), ordinò che la luce verde dei semafori fosse cambiata con una che fosse il più bluastra possibile: abbastanza verde da seguire le convenzioni internazionali e abbastanza blu da poterla chiamare ancora ao (青).
…
Siete ancora con me?
Mi rendo conto che questo sia un aneddoto piuttosto lungo per iniziare la nostra burrasca, ed effettivamente il vero argomento di oggi non sono i semafori del Giappone. La storia dei semafori però ci spiega perfettamente il problema della distinzione blu-verde nelle lingue.
Esattamente come l’ordine in cui le lingue giungono a definire i colori, anche la distinzione linguistica tra il blu e il verde è un tema che ha affascinato moltissimi psicolinguisti ed è oggetto di studi approfonditi.
Molti di noi potrebbero pensare che sia ovvio che una lingua distingua il colore blu dal colore verde con due nomi diversi e ben definiti. Pensandoci bene però, se prendiamo uno spettro del colore, non c’è assolutamente nessun motivo scientifico per cui dovremmo distinguere il blu dal verde; certo, le lunghezze d’onda sono diverse, ma perché dovremmo distinguere la lunghezza 570 (verde) dalla lunghezza 450 (blu) e non la lunghezza 620 dalla lunghezza 720?
Effettivamente, molte lingue non lo fanno;
Alcune hanno un nome unico per entrambi i colori, considerandoli due sfumature diverse della stessa tinta che potremmo chiamare blerde, come yax nel Maya Yucatek.
Altre distinguono il blerde chiaro dal blerde scuro, come la lingua Choctaw con okchʋko e okchʋmali.
Alcune distinguono due parole diverse per due colori distinti ma utilizzano la parola per il verde per indicare qualcosa che noi definiremmo blu, come l’arabo classico/letterario che chiama il cielo “il Verde”: al-khaḍrā' (الخضراء).
Esistono anche delle sovrapposizioni con altri colori: alcune lingue distinguono blu e verde ma accomunano quest’ultimo con il giallo, o il primo con il grigio o addirittura il nero, ma vorrei concludere con una parentesi su una lingua che, come sanno i pirati più navigati, riserva sempre delle sorprese: l’albanese.
Per via delle alterne vicende delle influenze ricevute da questa lingua infatti, l’albanese moderno ha una serie di parole per indicare il blu e il verde che hanno etimologie vagamente folli:
kaltër, indica un blu chiaro, un derivato da caltha, una parola greco antica che indica la calendula che però è gialla.
blu, indica il blu scuro e deriva, come il nostro blu, da una radice germanica che indicava inizialmente il nero.
gjelbër, indica il verde, e deriva dal Latino galbinus, che originariamente indicava il giallo.
verdhë, indica il giallo, ma viene dalla parola Latina viridis, cioè verde.
jeshil, viene dal turco yeşil, e indica nello specifico i verdi non naturali, come quelli dei semafori.
E quindi torniamo ai nostri problemi di segnaletica stradale.
Cosa significa tutto questo?
Le persone che parlano una lingua senza nomenclatura blu-verde non sono in grado di distinguere il blu dal verde perché non hanno i termini per nominarli?
Ci sono popolazioni che non vedono fisicamente la differenza tra blu e verde e che quindi non hanno bisogno di distinguerli nella loro lingua?
Una risposta univoca davvero non esiste, e io non ho un’opinione decisiva a riguardo, tuttavia vi lancio una provocazione: quali di questi colori chiamate “verde” e quali chiamate “azzurro/blu” senza dover ricorrere a nomi di sfumature come “turchese”, “smeraldo” e così via?
Nella prossima puntata scopriremo assieme alcuni degli esperimenti linguistici che hanno cercato di spiegare questo fenomeno. Ci vediamo presto!
o come nero addirittura, se riferito a capelli neri molto forti e luminosi, pieni di carica vitale. Ma questa storia del nero è particolarmente spinosa e non credo riuscirei a renderle giustizia in una puntata sola.
Puntata pazzesca! All'inizio dell'intro semaforica ho pensato subito al "Semaforo blu" di Gianni Rodari che sta in una delle sue "Favole al telefono"; forse, in fondo, anche la divertente soluzione trovata dai giapponesi era in sintonia con la storia di Rodari: un invito a volare alto, un via libera per il cielo 😄.
Oh mamma!! Dovrò rileggere meglio perché, per me, un po' arzigogolato...però ho capito che i giapponesi di un tempo erano tutti daltonici!!🤣🤣🤣