Bentornati pirati in una nuova burrasca!
Spero abbiate passato bene questa estate e spero anche che ve la stiate ancora godendo.
Oggi vi parlo di una frase che sembra latina ma che, in realtà, latina non è.
O meglio, potremmo definirla "paralatina", "pseudolatina" o, più gentilmente, "parzialmente latina".
Avete mai utilizzato la locuzione una tantum? Io credo proprio di sì. È una formula che è entrata nel nostro vocabolario passando per il linguaggio giuridico e burocratico e indica qualcosa che accade in via straordinaria solamente una volta; spesso viene utilizzato per indicare qualcosa che succede, invece, "solo ogni tanto", probabilmente per l’assonanza tra tantum e ogni tanto, ma il suo significato effettivo è molto più restrittivo: è qualcosa che accade straordinariamente.
In italiano lo utilizziamo come avverbio per indicare, spesso, una "quantità eccezionale" di qualcosa, dove eccezionale non indica la grande quantità, ma il fatto che avvenga una volta sola, l’eccezione a una regola. Si paga una tantum la caparra di una casa in affitto, a differenza dell'affitto vero e proprio che si paga in maniera cadenzata; si paga una tantum la tessera di iscrizione alla palestra, ma i corsi potrei invece pagarli ogni bimestre; si riceve una tantum un bonus al lavoro, ma lo stipendio - si spera! - si prende ogni mese.
Vi ho detto che nasce nel linguaggio giuridico e burocratico e, infatti, tutti gli esempi che vi sto facendo sono in qualche modo regolati da legge e burocrazia: è proprio in documenti ufficiali che troviamo utilizzata questa formula per le prime volte.
Tuttavia, la locuzione, come vi dicevo, è fondamentalmente "sbagliata": paralatina, pseudolatina, somiglia al latino ma latino non è perché i romani sicuramente non dicevano "una tantum" a nessuno. Una e tantum infatti sono entrambi avverbi e lo sono da soli, senza bisogno di essere accostati a nient'altro; metterli vicini per la grammatica latina non ha nessun senso.
Dire una tantum in latino non significa quindi niente, e, soprattutto, nonostante quello che potremmo pensare, la locuzione non l'abbiamo ereditata dell'antica Roma ma ce la siamo inventata più tardi. L'avverbio una, infatti, significa "insieme", "unitamente", e tantum significa invece "soltanto", perciò la formula "una tantum" vorrebbe dire "insieme soltanto", cosa che non ha molto senso. Quindi si suppone spesso che una sia un'ellissi di "una volta", e che questo "volta" sia in qualche modo sottinteso.
Ma quindi, com’è nata questa locuzione che è in latino ma non è romana e che sottintende una parola senza la quale è grammaticalmente sbagliata?
Un anno fa Alberto Nocentini dell'Accademia della Crusca rispondeva a una domanda proprio sulla formula una tantum, andando a ritroso nei documenti in cui questa locuzione compare di volta in volta. Ho trovato la storia estremamente interessante e ve la riassumo qui di seguito.
La primissima fonte che attesta l'esistenza della locuzione "una tantum" nel vocabolario della lingua italiana è l'edizione del 1942 del Dizionario moderno di Alfredo Panzini per opera di Bruno Migliorini. Questo non significa che non abbiamo scritti precedenti che utilizzano questa formula, ma che nel 1942 venne considerata abbastanza in uso e diffusa nella scrittura una tantum da essere aggiunta al dizionario.
Prima del 1942, troviamo la formula giuridica una tantum usata più volte nella Gazzetta Ufficiale fascista; l’uso frequente ci testimonia che era una locuzione abbastanza comune e accettata, cosa che probabilmente giustifica l'inserimento nel dizionario del 1942.
Quindi, sappiamo che una tantum, in questa versione "paralatina" esisteva già all'inizio del 1900; quello che non sappiamo è in che modo questa formula, che latina non è, sia nata.
O meglio, Alberto Nocentini dell'Accademia della Crusca lo sa, e io ve lo ripeto qui.
Nel 1875 il Ministro delle Finanze Marco Minghetti scrive una relazione sul bilancio dello stato da presentare alla Camera de Deputati nella quale utilizza la formula una tantum vice per indicare una spesa fatta una volta sola. Quel "vice" corrisponde proprio a quel "volta" che credevamo sottinteso, ed è l'ablativo della parola latina vĭcis, ovvero "alternanza", "vicissitudine". Quindi "una spesa fatta per soltanto una vicissitudine".
Non siamo ancora però alla sorgente della formula, anche perché la grammatica è ancora un po' zoppa. Minghetti infatti questa formula non se la inventa, ma la ritroviamo papale papale nei documenti del Concilio Vaticano I pubblicati nel 1873 - quindi forse letti da Minghetti non troppo prima di questa relazione alla Camera - che riprendono un testo di una delibera di papa Benedetto XIV che fu pontefice a metà del 1700. La formula usata è, anche in questo caso, una tantum vice.
Andando ancora più indietro nel tempo troviamo un'inversione di posizione: arriviamo infatti a leggere più volte nel testamento di Sebastiano Fontana, architetto di inizio 1600, la locuzione una vice tantum a indicare porzioni di eredità da cedere in blocco a differenza di quelle da consegnare poco alla volta.
E infine, arriviamo al punto d'origine: nel 1499 lo storico veneziano Marin Sanudo registra un'indulgenza plenaria ottenuta da papa Alessandro VI e la definisce pro una vice tantum.
Questa, finalmente, è una formula che ha senso per la grammatica latina. Letteralmente significa "per una volta soltanto" e in questa forma contiene tutti gli elementi che le servono. Pro, per, una vice, una vicissitudine, e tantum, soltanto.
Con il tempo, la locuzione ha, come dire, perso dei pezzi: tutto ciò che di volta in volta veniva considerato superfluo, cadeva, fino ad arrivare a una formula che ormai non è quasi più latina ma che per noi ha comunque senso.1
Sono arrivata alla fine della burrasca senza aver scritto neanche una nota, che ormai è una cifra stilistica di questa newsletter. Vi regalo una nota grammaticalmente inutile ma stilisticamente importante.
molto interessante grazie!
Toh guarda, questi di cambiamenti linguistici, che si tramutano addirittura in pseudolatino, alla crusca però stanno bene...