Prima di parlarti della parola difficile di oggi, devo farti delle semi-scuse.
La parola di oggi doveva essere la parola di una settimana fa; purtroppo mi sono impuntata sul fatto che l’illustrazione d’accompagnamento l’avrei dipinta coi colori ad olio* che, se per caso non lo sapessi, sono prodotti del demonio e mi hanno tenuta in ballo due settimane. Quindi, sono arrivata in ritardo.
La parola di oggi, poi, è di nuovo una parola facile, facilissima, e molto estiva. Altro che lutulento. O apocatastasi. Ti prometto che le prossime parole saranno degne di tutte le conversazioni snob che vorrai avere.
Però queste sono solo delle semi-scuse perché la newsletter continua a essere mia e me ne frego.**
La parola di oggi è molto sexy, come la taranta di Mannarino che ti canta che sei una bella cerasa napoletana.
Ciliegia: Il frutto del ciliegio, costituito da una drupa di colore rosso, più o meno cupo. Una drupa non è la femmina del Drupi***, ma un frutto carnoso e succoso con la buccia sottile e il nocciolo duro, non commestibile. Sono drupe le pesche, le prugne e le olive, e proprio dall’oliva deriva la parola drupa - dal latino per oliva appassita.
Per quanto forse drupa sia la vera parola difficile di questa burrasca, oggi voglio parlarvi di ciliegie.
Come già ci diceva Mannarino, la parola “ciliegia” ha la particolarità di incontrare una forma di rotacismo in vari dialetti italiani; ovvero, quella l in mezzo alle due i, così scivolosa e liquida, che ci ricorda facilmente la buccia lucida delle ciliegie, in lombardo, romanesco, napoletano, sardo, ligure, corso (e altri), diventa una durissima r.
E non solo i lombardi mangiano sirèse, i napoletani cerase, i sardi le cherase, ma anche i francesi mangiano le cerises, i rumeni le cireșe, i portoghesi le cerejas.
Questa r in messo alla ciliegia infatti, non è una bastardizzazione dialettale; semmai è l’italiano che “liquefa” l’originale termine latino, ovvero cerasus, a sua volta derivato dal termine greco cheràsion (κεράσιον) - la cui c dura è stata conservata solo dai sardi - e che significava già ciliegia.
Secondo il Panigiani, la parola cheràsion potrebbe venire dalla radice -kar, o -kra, per essere duro - stessa radice della parola corno, ad esempio -, a indicare proprio il nocciolo duro e non commestibile all’interno; un po’ come se il linguaggio avesse diviso i frutti nelle categorie “noccioli che si mangiano” e “noccioli che non si mangiano”, scelta discutibile ma molto interessante.****
La burrasca di oggi vi augura di fare una bella scorpacciata di sirèse, ma mi raccomando: non mangiate il nocciolo.
*perché ci piace complicarci la vita.
**mioddio, Achille, sembra una vita fa. Era solo febbraio?!
***mi perdonerete la battuta orrenda con questo aneddoto assolutamente senza fonte che riporta la pagina Wikipedia di Drupi: “In Repubblica Ceca, nella capitale Praga, ha avuto l’onore di esibirsi in concerto nella Piazza della Città Vecchia, dove ad oggi solamente due artisti si sono esibiti: i Rolling Stones e, per l'appunto, Drupi”
****Sempre secondo il Panigiani, la parola cheràsion potrebbe anche venire dalla città di Cerasunte, oggi Giresun in Turchia, da cui Lucullo avrebbe importato i ciliegi in Italia nel 71 a.C. Questa etimologia sembra decisamente più plausibile, ma l’idea che l’umanità abbia guardato la frutta e invece di categorizzarla in, che ne so, frutti grandi o piccoli, dolci o aspri, molli o duri, abbia deciso di distinguere se si possa o meno mangiarne il nocciolo mi sembra decisamente più divertente.
p.s. L’illustrazione d’accompagnamento ha come modella una stupenda fotografia di @xenia.lau