Ciao pirata,
ormai un mese fa ho passato il mio capodanno a Ravenna, condensando in due fittissime giornate il 75% dei siti Unesco presenti in città.
Non era la prima volta che la visitavo, ma non serve andarci con occhi vergini. Io l’ho sempre trovata bellissima e ricca di capacità immaginifiche.
Già una volta, con rutilante, vi avevo fatto l’esempio di una parola che in qualche modo potesse essere legata a Ravenna; allora la citazione era dannunziana, in questo caso il collegamento è un po’ tirato per i capelli ma passatemi l’associazione d’idee: ho pensato a questa parola mentre visitavo la città e non potevo non parlarne.
La parola di oggi viene spesso usata per parlare delle figure umane ritratte con solennità nei mosaici di di Ravenna; non solo: anche i giochi di luce delle finestre della basilica di San Vitale potrebbero essere così descritti.
Non è una parola che però appartiene al mondo dell’arte. Con ieratico, infatti, descriviamo qualcosa che è solenne, sacrale, sacerdotale. Ha una sfumatura religiosa molto forte ma non è necessario utilizzarlo solo per contesti liturgici o spirituali: anche qualcosa di secolare può essere ieratico, basta che abbia quella gravitas tipica della dimensione astratta.
Il termine viene dal greco hieratikòs (ἱερατικός), un aggettivo derivato dal verbo hieràomai, (ἱεράομαι) esercitare il sacerdozio, a sua volta proveniente dal sostantivo hieròs (ἱερός), ciò che è sacro.
Su hieròs si può aprire un’interessante parentesi: il sostantivo deriva dalla radice indoeuropea eis-1, che ha originariamente il significato di “muoversi rapidamente”, e poi evolve per ritrovarsi in parole che generalmente indicano passione, impeto - come se l’emozione forte fosse uno scuotimento, un movimento sconvolgente.
Il termine hieròs originariamente significa forte, vigoroso; venendo da questa radice eis-1, ne prende la sfumatura della passione che diventa impeto: il movimento rapido del corpo diventa forza e potenza. Dalla stessa radice, per esempio, proviene anche la nostra parola ira.
Come si passa da forte e vigoroso a sacro e solenne? Hieròs è un aggettivo difficile nella storia della lingua greca, e su cui sono stati scritti fiumi d’inchiostro. Se guardiamo solo Omero, l’aggettivo viene usato più volte per indicare le cose più disparate: lo si usa per descrivere riti e sacrifici, farine e olivi, isole e promontori, case e muri e città e altro ancora. Sembra infatti che sia utilizzato variamente per indicare una lode alla rigogliosità, energia, potenza e così via.
Prendendo fonti sanscrite che utilizzano parole simili derivate dalla stessa radice, troviamo altrettanta varietà. Insomma, questa ieraticità sembra essere una caratteristica particolarmente volatile.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che il passaggio da velocità a forza a sacralità è da ricercare nel pensiero di cosa sia il divino. Se il divino è forte e potente, e quindi se il divino è hieròs, allora ciò che è hieròs, è divino, in una sorta di proprietà transitiva in cui ci si passa la sacralità invece degli addendi.
Altri ci vedono tutta la bellezza del pensiero magico delle origini: il sacro e il divino stanno nella potenza e nella velocità e nella rigogliosità del mondo attorno a noi, che è così stupefacente da essere per forza, opera del divino.
Altri ancora sono più prosaici: il rapporto tra forte e sacro sta nel rito stesso, ciò che si fa per guadagnarsi la protezione del dio: “Rendimi forte, potente, vitale, veloce. Rendimi hieròs, rendimi sacro”.
Questa illustrazione è da matti! Bellissima!
certe volte mi sembri un pò come Tolkien, che riesce a costruire dei mondi attraverso termini e significati :-)