Ciao pirata,
oggi parliamo di una parola la cui etimologia è un po’ diversa dal solito. Ormai ci siamo ben bene abituati a tutti i riferimenti latini e greci che osserviamo ogni settimana e abbastanza frequentemente abbiamo esplorato i legami che la nostra lingua ha con altre lingue romanze.
Più raramente abbiamo citato legami con lingue che non sono romanze, ma ogni volta che parliamo di radici indoeuropee1* parliamo di una famiglia che al suo interno contiene molti più linguaggi di quelli che sappiamo essere imparentati con l’italiano.
Nel calderone delle lingue indoeuropee, quindi tutte quelle lingue che sono accomunate da un’unica famiglia d’origine, esistono una serie di sottofamiglie che da un certo momento in poi si sono evolute in un ramo separato. Per esempio, la famiglia delle lingue italiche, di cui fa parte il latino e poi il nostro italiano così come il francese, o lo spagnolo, o anche la famiglia delle lingue germaniche, da cui si dipanano una serie di rami (settentrionale, occidentale, orientale) e che dà vita all’inglese, al tedesco, ma anche all’islandese e allo yiddish.
Oggi però parliamo di una lingua slava2, per la precisione slavo-occidentale: il ceco.
Ora, io il ceco non lo parlo, fatta eccezione per le tre cose che ho imparato quando ho visitato Praga; a mio parere sono le tre cose più importanti da sapere, quindi ve le dico:
1. Dobré ráno
2. Praha hlavní nádraží
3. Pivo
4. Děkuji, da dire specialmente quando qualcuno ti offre una pivo
Tuttavia, non serve sapere il ceco per apprezzare l’etimologia di oggi, perché il caso di questa puntata è di una parola che è entrata nel nostro gergo comune solo nell’ultimo secolo: più un prestito linguistico che una vera e propria origine, un po’ come computer o siesta.
Oggi, infatti, parliamo di robot.
Potrebbe sembrare una parola inglese prestata all’italiano; in realtà viene dal ceco, e più precisamente da un’opera drammaturgica, R.U.R. o Rossumovi Univerzální Roboti, i “Robot universali di Rossum”3, in cui lo scrittore ceco Karel Čapek per la prima volta nella storia della letteratura racconta una macchina automatica e antropomorfa addetta a un lavoro.
R.U.R. non è la prima opera di Karel Čapek, ma è la prima che ottiene un successo internazionale: pubblicata nel 1920, fu messa in scena l’anno successivo al Teatro nazionale di Praga e immediatamente tradotta in tedesco, inglese e francese e rappresentata a New York, Berlino, Vienna, Parigi e Londra, replica per la quale fu anche creato un gadget, Robert the Robot4. In Italia non ebbe lo stesso successo, e forse per questo non conosciamo abitualmente l’origine della parola robot.
Karel Čapek scrive R.U.R. e si trova a voler raccontare una distopia sull’automazione del lavoro; si inventa degli esseri artificiali, a immagine dell’uomo ma non umani, e un contesto in cui il loro creatore vuole affidare loro il lavoro meccanizzato. Il compito di dare un nome a queste creature viene assolto dal fratello di Karel: il drammaturgo infatti avrebbe voluto chiamarli labori, dal latino labor, fatica, ma Josef Čapek, pittore cubista, trova una soluzione migliore: robot, dal ceco robota, lavoro forzato.
I fratelli Čapek probabilmente non inventano davvero una parola ex novo: esistono ricerche che attestano l’uso di robot, o parole in altre lingue slave con stessa radice, per indicare una cosa ben precisa: la servitù della gleba.
Il termine robot infatti viene da una radice indoeuropea5, orbh-, che, nella sua sfumatura originaria, significa “girare, cambiare”. Viene da orbh-, per esempio, l’orbita di un pianeta che gira nel sistema solare. Tuttavia, questo “girare, cambiare” prende molto presto la sfumatura di “cambiare alleanza, cambiare da una condizione a un’altra” e un orbh- diventa ciò che da libero passa alla condizione di non-libertà. Da orbh- viene la parola orfano, ma anche la parola *orbŭ, il termine in Antico Slavo per il lavoro forzato e la servitù.
I Čapek si ritrovano quindi a dover dare un nome a un lavoratore artificiale, creato per essere efficientissimo, privo di esigenze e con la minor spesa possibile, e, senza troppi giri di parole, decidono di chiamarlo “schiavo”.
Direi, interessante.
E lo facciamo spesso.
Fun fact, le lingue slave e le lingue baltiche vengono spesso accomunate, anche nell’albero delle lingue indoeuropee, perché hanno delle forti somiglianze nei loro tratti linguistici ma non si sa bene come mai.
Un riassunto della trama di R.U.R. sarebbe stato troppo lungo per la puntata ma devo in qualche modo dirvi di cosa parla perché cambia completamente l’atmosfera di questa burrasca. Vi riassumo da Wikipedia: i robot, costituiti da materia organica e simili agli esseri umani, vengono costruiti nella fabbrica del dottor Rossum (rozum vale in ceco intelletto/ragione) su un'isola sperduta in mezzo all'oceano. Il manager generale della fabbrica, Harry Domin, pianifica di liberare l'umanità dalla schiavitù della fatica fisica. Ma gli effetti sono catastrofici, l'umanità non ne trae alcun giovamento, affonda nel vizio e nell'indolenza, e le nascite iniziano a calare in modo preoccupante. I robot, ormai diffusi in tutto il mondo, iniziano a ribellarsi ai loro creatori e a sterminarli. Dopo la drammatica uccisione degli ultimi uomini sopravvissuti nella fabbrica e i fallimentari tentativi dell'ultimo erede del genere umano di riscoprire la formula della loro fabbricazione, due robot iniziano a manifestare sentimenti umani e sembrano così riportare la vita sulla terra.
Poche cose sono ironiche come i tentativi di fare soldi. Comunque, questo è Robert:
Come tutto in questa newsletter, alla fine.
Isaac Asimov avrebbe messo il suo like a questo articolo 😍 Ottima come sempre! ✨
super!