Ciao pirata,
la parola difficile di oggi non è di nuovo una parola difficile, ma la sua storia è interessantissima e, perciò, vale la pena parlarne.
Viene suggerita da Alessandro1, che non solo mi dà l’ispirazione per questa burrasca ma contribuisce alla sua scrittura! Alessandro è l’autore e la voce dietro Mirabilia - Il Podcast delle storie straordinarie, un podcast che, con ogni episodio, prova ad aprire uno spiraglio sulla Storia, alla ricerca dell’incredibile, del misterioso, dell’improbabile, del meraviglioso e dell’assurdo.
Insomma, un altro galeone della nostra flotta 🏴☠️
La parola di oggi, vi dicevo, non è particolarmente difficile, ma nasconde al suo interno un piccolo mondo da esplorare assieme.
A cosa pensate quando pensate al peccato? Se la vostra famiglia e italiana e siete cresciuti in Italia, è probabile che il concetto di peccato che avete in mente sia prettamente cattolico, a prescindere dal vostro pensiero religioso. Nella nostra lingua e cultura la parola “peccato” viene utilizzata quasi esclusivamente per definire qualcosa di cattolico, di legato alla visione teleologica del mondo per cui un giorno le nostre azioni che seguono o trasgrediscono una regola divina riceveranno un giudizio. L’idea di un “giudizio” alla fine della vita o del mondo, però, non è tipica di una religione in particolare: non è condivisa da tutte ma non è certo una prerogativa cristiana.
Il termine “peccato” tuttavia, non nasce con il cristianesimo, e qui le cose si fanno interessanti: la parola viene dal latino, ed è la flessione supina (peccatum) del verbo peccō, che già in latino ha un’accezione di trasgressione a una regola divina: il peccāre è il violare un patto con il divino, è conoscere una regola prestabilita dalla divinità e scegliere di non seguirla.
L’etimologia del verbo peccō è incerta, ma molti la attribuiscono senza troppe manfrine alla radice verbale Proto-Indoeuropea *ped-, la stessa da cui deriva la parola “piede” e che contiene in sé sia l’accezione di “camminare” che quella di “inciampare”.2
Peccāre, quindi, è camminare fuori dal seminato, è vedere il percorso prestabilito e condiviso e cercare un’altra strada; effettivamente la metafora del cammino della vita ritorna in varie religioni, e moltissimo in quella cristiana.
Il termine latino è presente in testi precristiani o contemporanei al protocristianesimo ma non cristiani, ma la sua traduzione diventa difficile; dobbiamo infatti scegliere dei termini che siano sinonimi di “peccato” perché per la nostra cultura e la nostra lingua gli attribuiamo un senso puramente cristiano quando in realtà in origine non l’avrebbe.
non deorum natura sed hominum coniectura peccavit
- sbagliò non a causa della natura degli dei, ma per il ragionamento degli uomini
(Cicerone, De natura deorum, liber II, 12)
Il mistero del concetto di “peccato” si complica quando osserviamo come viene gestito da altre lingue; la Bibbia stessa, per esempio, nella sua versione originale greca, usa abbastanza spesso la parola hamartìa (ἁμαρτία), sostantivo del verbo hamartánō (ἁμαρτάνω) che, a sua volta, viene spesso tradotto come il verbo “sbagliare” ma che nella sua radice originaria h₂mert- richiama al concetto di “mancare il bersaglio”.
Quando la Bibbia viene tradotta in Lingua Inglese Antica, la parola che viene scelta è synn, da cui deriva il termine in inglese moderno “sin” che possiamo tradurre tranquillamente con “peccato”. Questo termine, però, viene dal Proto-Germanico *sunjō , che significa “verità” ma anche “scusante”, perché contiene al suo interno un senso giuridico, ovvero l’essere trovati colpevoli di fronte a un accusa.
Il concetto dietro “sin” è quindi quello di un processo, di un tribunale della vita in cui dobbiamo trovare delle scuse per quello di cui veniamo accusati; è quindi anche il termine, tra quelli elencati, che contiene più al suo interno una sfumatura di colpa.
Perché è così interessante sottolineare questa differenza? Perché questi termini, che sono usati per indicare nel mondo lo stesso concetto religioso, contengono delle sfumature che creano un diverso modo di vivere la stessa idea di “peccato” in varie culture. Al peccato poi, si associano anche modi diversi di affrontare il pentimento e l’assoluzione.
Alessandro, in questa puntata a quattro mani - o forse sarebbe meglio dire “a due voci” - del suo podcast Mirabilia ci racconta nello specifico la storia di un modo peculiare di “gestire” i peccati che appartiene al mondo cristiano ma che probabilmente non ci è molto familiare: quello dei sin eaters, i mangiapeccati di Galles, Scozia e Inghilterra del ‘600 che consumavano un pasto rituale per “accollarsi” i peccati di un defunto. Per scoprire il resto della storia potete ascoltare la puntata su Spotify al link qui sotto (ci sono anche io!).
Vi ricordate quando vi ho detto che tantissimi tra voi si chiamano Alessandrə? Be’, non scherzavo.
Questa cosa per me è interessantissima: come se camminare e inciampare fossero intrinsecamente la stessa cosa, lo stesso tipo di azione. L’errore è compreso nell’agire, non si può agire senza commettere errori, senza inciampare e fallire, e allo stesso tempo non si può inciampare senza rialzarsi e camminare. Un’unica radice, un’unica azione. Come se i nostri piedi contenessero già tutti i viaggi e le cadute che faremo.
Senza camminare non si sbaglia ma non ci si rialza per proseguire! Bello!❤️