Oggi non parliamo di una parola difficile di per sé, ma piuttosto della storia difficile di una parola facile.
L’ispirazione per questa burrasca viene dalla sezione commenti di un post su Instagram che non trovo più, in cui una serie di persone da varie parti del mondo si confrontava su diversi modi di dire “lavoro” o “lavorare”.
Quella sezione commenti mi ha fatto venire in mente Gomorra e il fatto che in napoletano “lavorare” si dice “faticare” e lo dicono credo in ogni puntata.
Ho deciso di parlare di questa storia difficile anche perché quando scrivo la burrasca ogni settimana e vado a guardarmi il dizionario di radici indoeuropee che è diventato il mio migliore amico mi sento sempre invasa da un senso di interconnessione tra tutte queste lingue1, e questa parola, in particolare, sento che non si possa esaurire discutendo solo la sua etimologia italiana.
Quindi.
Per parlare dell’origine della parola “lavoro” dobbiamo costruire una mappa di interconnessioni tra una serie di parole e di concetti in varie lingue. Possiamo far risalire dei gruppi di parole legate al lavoro in varie lingue indoeuropee a sostanzialmente quattro grandi famiglie etimologiche:
LABOR: Lavoro in italiano e labour in inglese vengono dal termine latino labor, “pena” o “sofferenza”. Ritroviamo questo senso di “sforzo” anche in italiano con il termine laborioso. È interessante sottolineare anche che labour in inglese indica anche le doglie del parto.
TRIPALIUM: Travailler in francese, trabajar in spagnolo, trabalhar in portoghese significano tutti “lavorare”. Il termine più vecchio è quello francese, da cui derivano tutti gli altri, e originariamente viene dalla parola tripalium - letteralmente, “tre pali” -, uno strumento di tortura del XI secolo d.C.; travailler, quindi, significava “torturare tramite tripalium”, e un travailleur - oggi un semplice “lavoratore” - era in realtà il boia. E ancora; trabajo in spagnolo e travaglio in italiano indicano le doglie del parto.2 Vi suona familiare?
WERG-: dalla radice indoeuropea werg- vengono le parole work in inglese ed ergasía (εργασία) in greco. La radice è una delle forme più vecchie per indicare il concetto di “fare”. Quindi il lavoro, in questo senso, è una cosa che “si fa”.
OP-: la radice indoeuropea op- significa a sua volta “fare”, ma più nel senso di “produrre”. Da questa radice viene il termine latino opus “opera” e dalla sua forma plurale operae che significa “impegni”, “obblighi”, vengono i termini operaio in italiano, ma anche ouvrier in francese, obrero in spagnolo e così via.
Quindi: quattro grandi famiglie che ci raccontano un’idea del lavoro come di una pena, oppure come di un’azione (werg-) che in qualche modo produce qualcos’altro (op-). Ognuna di queste famiglie in qualche modo è rappresentata in tutte le lingue che abbiamo citato. Sebbene in inglese, per esempio, la forma più semplice per dire “lavoro” sia indubbiamente work, ritroviamo la radice di tripalium nella parola travel, “viaggio”, un’attività che evidentemente non doveva piacere agli inglesi del medioevo. In vari dialetti italiani, la radice di tripalium dà origine ai termini locali per indicare il lavoro (traballu, travagghio, travaggio, travai), e nel già citato napoletano si parla comunque di “fatica”. La radice werg- in italiano ci arriva direttamente dal greco e, sebbene non ce ne accorgiamo facilmente, la ritroviamo in parole come en-ergia, drammat-urgia, lit-urgia, all-ergia e così via.
Un caso a parte che ci complica ulteriormente la vita è quello di arbeit in tedesco. Il termine per indicare il lavoro, infatti, viene dalla radice indoeuropea orbh-, che indica un cambiamento/una rotazione: si pensa che arbeit indicasse il lavoro agricolo, soggetto a rotazione dei campi. Dalla radice orbh- viene anche la parola orfano, inteso come una persona soggetta a cambi di status, a essere passata di mano in mano. Questo apre un’altra possibilità: che arbeit venga da orbh- proprio per questa associazione di idee: che il lavoro sia qualcosa che viene eseguito da persone che vengono passate di mano in mano, chi non è libero di scegliere, cioè orfani, servi, schiavi.
Quindi cos’è il lavoro? È un concetto complesso, in costante evoluzione: siamo abituati a pensarlo come una caratteristica dell’essere umano, della vita, ma è una costruzione sociale, soggetta a tempi e culture. Cosa è lavoro? Chi lavora in una società? Perché si lavora? Sono tutte domande la cui risposta dipende da dove siamo, in che periodo e a chi lo stiamo chiedendo.
Come ci diciamo sempre nella burrasca, andare a vedere l’etimologia di una parola non è solo un esercizio divertente: è un modo per capire come pensiamo e immaginiamo i concetti.
Storicamente in Europa, dove queste lingue sobbollono, il lavoro è un concetto sporco, bruto, contrapposto a ciò che invece fanno gli uomini istruiti e liberi. I romani facevano una distinzione ben chiara tra otium e labor; nel medioevo si distingueva tra vita contemplativa e vita attiva. I primi pensieri filosofici che vedono il lavoro come qualcosa di importante e, soprattutto, vocazionale nella vita dell’uomo sono di Martin Lutero e Hulrich Zwingli, con la riforma protestante.
E oggi, il lavoro, che cos’è? Per quanto per secoli si sia parlato di lavoro e in mille modi e termini diversi, non abbiamo davvero coniato dei termini nuovi per parlarne - o meglio, abbiamo coniato termini nuovi, ma non dei termini alternativi alla parola generica “lavoro”. Forse quando diciamo “lavoro” non pensiamo certo subito a tutto il mondo etimologico che gli sta dietro, ma la storia che gli sta dietro è questa: riusciamo davvero a prescindere da essa?
Poche, pochissime rispetto alla comunicazione del mondo, ma è una famiglia intera, una fetta della terra che parla così, che si rende onnicomprensibile venendo dalle stesse radici e boh; è così bello.
Sento che questa cosa delle doglie del parto che si accompagnano all’idea di “lavoro” in ben due gruppi etimologici diversi l’ho un po’ lasciata in sospeso, come se vi avessi fatto annusare un pensiero interessante e poi non l’avessi espresso. È proprio la verità: solo che non l’ho espresso nemmeno nella mia testa. Ho scoperto questa cosa e ho pensato “ma guarda un po’!”, è sono rimasta lì. Non posso sempre fare le mappe di interconnessioni per tutto.
Adoro questa spiegazione, ti ringrazio! È da una vita che rifletto sulla vicinanza delle parole travaglio, travailler, travel, lavoro e labour. Sei stata chiara ed esaustiva, hai un blog eccellente