La burrasca di oggi viene suggerita da Cécile. La sua proposta mi piace tantissimo perché l’etimologia della parola di cui mi ha parlato viene dalla Francia, da dove viene lei, ma ha delle radici a Pavia, da dove - più o meno - vengo io. Più precisamente al parco della Vernavola dove, quando non ci sono troppe zanzare, ho fatto qualche picnic.
Qualche anno fa, più precisamente nel 1525, al parco della Vernavola non c’erano i picnic ma una battaglia tra francesi e sacro romano impero. Come per tutte le battaglie e guerre del 1500, sarebbe davvero impossibile riassumere nel tempo di lettura di una breve newsletter perché i francesi e i tedeschi a un certo punto hanno deciso di ammazzarsi proprio a Pavia, quindi non lo farò. La cosa però si può riassumere con: qualcuno voleva un pezzo di terra che voleva anche qualcun altro e di mezzo c’erano la riforma protestante, mille staterelli italiani che si alleavano con chi gli pareva e delle pretese di diritto a troni esteri dovute al fatto che le famiglie reali europee erano già tutte imparentate e quindi anche se eri il re di Francia o di Prussia era abbastanza facile dire che eri il cugino di qualcuno in Calabria e quindi potevi fare anche il re delle due Sicilie.1
Fatto sta che nel 1525, Francesco I di Francia e l’imperatore Carlo V sono a Pavia, al parco della Vernavola, dove l’esercito francese è schierato contro un mucchio di lanzichenecchi e un po’ di archibugieri spagnoli. Non vi sto a raccontare tutto quello che succede, ma i francesi perdono.
Tra i comandanti dell’esercito francese c’è anche il giovane maresciallo Jacques II de Chabannes, signore di La Palice, un castello nella valle della Besbre ancora oggi visitabile e che dà il nome al vicino paese di Lapalisse.
Jacques non ha fortuna in questa battaglia; viene abbattuto mentre è a cavallo e, caduto a terra, non riesce a combattere perché la sua armatura è troppo pesante per far fronte ai colpi veloci degli archibugieri lanzichenecchi. Catturato da un capitano italiano, viene notato però anche da un capitano spagnolo che, riconoscendo in La Palice un militare importante, inizia a litigare con l’italiano perché vorrebbe dividere il merito della cattura e chiedere un riscatto. L’italiano gli dice di no e, come nelle migliori barzellette, lo spagnolo s’incazza e spara a La Palice per dispetto.
Gli uomini di La Palice, venendo a sapere della sua morte, ne sono piuttosto addolorati, tanto da comporre una canzone sulla sua morte come epitaffio. La canzone diceva probabilmente così:
Hélas! la Palice est mort,
il est mort devant Pavie ;
Hélas! s'il n'estoit pas mort,
il feroit encore envie.Ahimè! La Palice è morto,
è morto davanti a Pavia;
Ahimè! se non fosse morto,
farebbe ancora invidia.
Bellino, no? Il problema però nasce più avanti: la canzoncina passa di bocca in bocca, e, nella tradizione orale, si condisce di un errore che, oltre a cambiare il significato della canzone, dà origine alla parola di oggi.
Hélas! la Palice est mort,
il est mort devant Pavie ;
Hélas! s'il n'estoit pas mort,
il seroit encore en vie.Ahimè! La Palice è morto,
è morto davanti a Pavia;
Ahimè! se non fosse morto,
sarebbe ancora in vita.
Quindi, feroit diventa seroit2 e envie diventa en vie. L’errore, insomma, trasforma un epitaffio sulla grandezza del morto in un’ovvietà lampante: se uno è morto non è certo vivo.3
Ben due secoli dopo, a metà del 1700, l’accademico francese de La Monnoye scopre questa canzone nella sua versione scorretta e, trovandola divertente, le aggiunse delle strofe che raccontavano la vita immaginata del maresciallo de La Palice con una serie di banali ovvieta: La Chanson de La Palisse.
Tra queste ovvietà troviamo meraviglie come “quando era a Poitiers,
non era certo a Vendôme!”, ma anche “non avrebbe cantato male,
se fosse stato silente.”
La canzone di de La Monnoye ebbe successo, ma per poco tempo, finché, dopo altri due secoli, venne riscoperta dal pubblicista Edmond de Goncourt che coniò, da essa, la parola francese lapalissade, per indicare una cosa talmente ovvia che non ha bisogno di essere detta (ma che viene detta comunque, inutilmente).
Se in francese viene coniato un sostantivo, in italiano il termine ereditato è un aggettivo: lapalissiano; così evidente che dirlo è inutile.
E questa era la parola della burrasca di oggi.4
Tutti questi esempi geografici sono storicamente inaccurati ma rendono l’idea e alla fin fine c’è un motivo se a un certo punto tutti i nobili d’Europa hanno iniziato a essere emofiliaci.
Non aiuta certo che nella grafia francese del ‘500 la f e la s si scrivevano quasi uguali - ſ e f.
Non iniziamo con Schrödinger. Io di fisica non so un tubo e mi va bene così.
Ma, macinatempeste, perché nell’illustrazione di oggi c’è una ciotola di zuppa?
La battaglia di Pavia è legata anche alla leggenda sulla nascita della ricetta della zuppa pavese. La storia narra che Francesco I, dopo aver perso la battaglia e prima di essere fatto prigioniero, vagò per ore nelle campagne attorno a Pavia cercando rifugio. Capitato di fronte a Cascina Repentita (è ancora in piedi!), chiese alla contadina che lì abitava di procurargli un pasto caldo. La donna, di cui non sappiamo nulla, servì a Francesco I le uniche cose che aveva disponibili: un brodo di carne con dentro tuffati due pezzi di pane duro e una manciata di formaggio. Da ultimo, poiché le sembrava un pasto poco sostanzioso e non degno di un re, ci ruppe sopra un uovo fresco. La storia racconta che a Francesco I la zuppa piacque così tanto che, dopo la sua prigionia in Spagna, la fece scrivere nei ricettari di corte francesi con il nome, proprio, di zuppa pavese.
Bellissima😮
Bellissimo !! Grazie!!