Sarò sincera con te, caro pirata. Questa burrasca la sto scrivendo alle 23 del lunedì sera, cotta e rimbambita dopo una giornata pesante e quindi ho scelto una parola la cui illustrazione fosse molto facile.
Talmente facile da non essere classificabile come “illustrazione”, forse.
Questo è uno scarabocchio. Oppure potresti chiamarlo ghirigoro. Nel primo caso gli stai dando un’accezione forse più negativa, dicendo che è una cosa la cui forma è un po’ casuale, un incidente, qualcosa che è sulla pagina ma forse sarebbe stato meglio non ci fosse. Nel secondo caso stai invece dicendo che quel ghirigoro è bello, è una decorazione, è qualcosa che hai messo lì apposta e di cui hai magari curato la forma.
Un ghirigoro, secondo la Treccani, è un “intreccio capriccioso di linee curve fatto senza intenzioni di disegno”, mentre uno scarabocchio è una “macchia d’inchiostro fatta nello scrivere; lettera o parola scritta male, in modo illeggibile, o altro svolazzo tracciato a caso su un foglio”. Quindi, le forme che osserviamo sono anche leggermente diverse: un ghirigoro è più lineare; uno scarabocchio è tendenzialmente più corposo.
Questo si riflette anche nelle loro etimologie, che ci descrivono esattamente questa differenza nella loro forma.
Entrambe le parole non hanno un’etimologia sicura; si pensa che vengano da una certa linea di parole o associazione di idee ma non ne si ha la certezza.
Ho trovato due possibili linee di pensiero sull’origine della parola ghirigoro.
Deriva dalla parola gregoriano, inteso nel senso di “canti gregoriani”, i cui spartiti erano così astrusi e pieni di segni da creare dei veri e propri pasticci su carta da cui verrebbe proprio il riferimento di ghirigoro. “Gregoriano” a sua volta viene dal nome di Gregorio Magno, autore della riforma che diede il nome a questo tipo di canto; e se tra voi c’è qualcuno che si chiama “Gregorio” sarà contento di scoprire che viene dal verbo greco eghèirō (ἐγείρω), che significa “essere svegli”, “essere vigili”. Quindi, ghirigoro non c’entra niente coi moti circadiani ma, tecnicamente, Gregorio sì.
Oppure potrebbe derivare dalla parola gŷros (γῦρος), che significa “giro", “cerchio”, ed è la stessa parola che vedete quando ordinate un gyros pita (che somiglia a un kebab ma non è un kebab) e, poiché è un pane piatto pieno di carne cotta su uno spiedo verticale che gira, si chiama…“pane che gira”. Quindi un ghirigoro è un segno sulla carta che fa dei giri, proprio come lo spiedo del gyros pita. Che non è un kebab.
Uno scarabocchio invece, ha una sola ipotesi di etimologia, ma è molto carina; oggi noi chiamiamo scarabocchio qualsiasi segno fatto a casaccio su un foglio, ed è per questo che scarabocchio e ghirigoro ci sembrano così simili. Non era però così ai tempi dei pennini e dei calamai - neanche tanto tempo fa1 - quando una macchia d’inchiostro sulla carta su cui si stava scrivendo non era un errorino poi così ignorabile.
La macchia sulla carta prendeva facilmente delle forme tondeggianti, talvolta oblunghe, con tante ramificazioni che potevano facilmente sembrare delle zampette: come se il nostro errore prendesse vita sulla carta sotto forma di un insetto nerissimo; per la precisione, uno scarafaggio.
C’è infatti chi ipotizza che scarabocchio venga dal francese escarbot, ovvero scarabeo, e che debba quindi essere una mal pronuncia di questa parola che descrive esattamente la forma che la macchia prende sul foglio.
L’introduzione delle penne a sfera e la mancanza conseguente di scarafaggi sui fogli di tutti noi non ha ucciso, però, la parola scarabocchio. L’ha semplicemente modificata, e, se prima indicava una macchia d’inchiostro, ora è molto più ampia e comprende anche quei pasticci che facciamo sui fogli quando siamo al telefono e che, forse forse, sono più classificabili come ghirigori.
Ma, che siano ghirigori o scarabocchi, oggi vi invito a farne tantissimi. Sfogatevi, io ora dormo.
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Ho trovato un thread Quora in cui una serie di persone che ha fatto le elementari in Italia tra gli anni ‘50/60 ricorda il passaggio da pennini alle penne Bic. Io alle mie elementari ricordo che nell’aula di arte i banchi avevano ancora l’incavo per i calamai, ma questo credo dica di più dei fondi stanziati per i materiali scolastici che della storia dell’abbandono dei calamai nella scuola italiana.
Gli anacronistici banchi col buco per il calamaio...che ricordi! Chissà se tra 60 anni i ragazzi diranno lo stesso di quelli a rotelle...