Oggi parliamo di una parola che probabilmente conoscete ma il cui significato vi sfugge spesso.
Vi capita mai?
Qualcuno dice una parola il cui suono vi è familiare, siete sicurissimi di averla già sentita, siete CERTI di sapere cosa vuol dire ma, nel momento in cui ragionate sul suo significato, vi rendete conto di non essere poi così sicuri.
È quello che succede a me con gipsoteca.
Ogni volta che guardo questa parola penso, “sì, è un museo di bronzi”.*
“No, è un museo di gemme incise”**
“O forse è un museo di armature?”***
Quindi, se da una parte ho la certezza che si tratti di un museo, non ho ben chiaro che cosa ospiti.
Tutte queste parole che terminano in -teca**** sono infatti un composto della parola théke (ϑήκη) che indica un qualcosa che contiene qualcos’altro*****, che deriva dal verbo tìthemi (τίθημι), che sta per “mettere”, “disporre”, “depositare”. Il suffisso -teca è preceduto da un’altra parola che indica l’oggetto che viene “deposto”, che è contenuto all’interno di questa théke. Per intenderci, biblio-teca, è un qualcosa che contiene dei libri.
Nel caso di gipsoteca, l’oggetto contenuto sono dei gỳpsoi (γύψοι), ovvero dei gessi. Una gipsoteca è perciò un museo di gessi, o, meglio ancora, il termine viene usato per indicare un luogo - non necessariamente un museo, anche un magazzino - in cui vengono conservati i calchi in gesso di statue in un altro materiale.
Sono posti per lo più frequentati da studenti di belle arti, che le utilizzano per studiare; la più grande gipsoteca italiana si trova alla Sapienza, a Roma, al Museo dell'Arte Classica, ma ce n’è anche all’Università di Pisa, all’Accademia di Belle Arti di Napoli, ce n’è una dedicata alle statue del Canova a Possagno, e molte altre (anche se non tantissime).
Ma andiamo un po’ più nello specifico.
La parola “gesso” in italiano è derivata dalla parola gỳpsos (γύψος), ma con “gesso” noi finiamo per indicare una serie di cose che si somigliano ma che non sono tutte uguali.
il solfato di calcio biidrato, un minerale che si forma con l’evaporazione dell’acqua.
rocce sedimentarie fatte di stratificazioni di solfato di calcio biidrato, ma che possono contenere anche altre cose. Tecnicamente si dicono “rocce gessose”.
gesso da edilizia, cioè una serie di materiali che si ottengono lavorando le rocce gessose e con cui si possono fare gli intonaci, costruire pareti, isolare stanze e altro.
i gessetti per scrivere sulle lavagne e per terra, che in realtà sono una lavorazione specifica delle rocce gessose.
I greci, però, con la parola gỳpsos indicavano solamente il minerale, che si trovava in abbondanza in Egitto, ma anche in Anatolia, e invece dettero un nome specifico a una varietà precisa di gesso: la selenite, un gesso cristallino che si trova in natura sotto la forma di scaglie traslucide. I Greci utilizzavano la selenite per creare delle lastre trasparenti che fungevano da finestre nei templi - una sorta di vetro prima che fosse scoperto il vetro. Tuttavia, proprio perché non si trattava di vetro, le lastre di selenite erano tutt’altro che trasparenti e la luce che vi passava attraverso era filtrata, colorata, più simile a quella della luna che a quella del sole. Per questo il gesso cristallino venne chiamato “pietra di luna”, selenite, da selene (σελήνη), luna.
*Che invece si chiama calcoteca
**Glipsoteca
***Oploteca
****cosa che potete sapere solo se leggete le note nell’ordine in cui le trovate, e non tutte insieme alla fine; ma questa è una newsletter che richiede della ginnastica mentale e se avete restitito finora confido che apprezzerete anche dover saltare di palo in frasca.
*****cioè…una teca.
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