Caro pirata, gli ultimi arrembaggi sono stati difficili; perciò oggi, una parola senza illustrazione (ma con un’immaginina fatta con Canvina).
Quando ho scelto questa parola ero convinta di aprire la sua burrasca con una citazione dai Promessi sposi. Mi sembrava una parola che ovviamente avrei trovato nei Promessi sposi, anzi, che mi sembrava di aver conosciuto proprio grazie a loro e sentivo anche di sapere - più o meno - in quali capitoli cercarla. Avevo la nettissima sensazione che ci fosse un intero capitolo dedicato solo alle tasse.
Ho cercato e ricercato, ma questo capitolo non si trova* - e peggio, non si trova nemmeno la parola difficile di oggi.
Gabella, tassa o imposta; termine da cui deriva anche l’interessantissimo gabellare, che non significa solo “fare le tasse” o “sottoporre a tassazione”, ma anche “far passare per”, “spacciare” e “prendere per buono”.
Il passaggio che da gabella va a gabellare - cioè che da “tassa” va a “spacciare per altro” - è estremamente figurativo, nel senso che dovete proprio figurarvi la scena di un mercante che si reca in una città fortificata per vendere la propria merce e incontra alle porte i gabellieri che riscuotono la tassa su ciò che sta introducendo in città. Il mercante mostra sul carretto tutti i suoi vasi di coccio** e paga la gabella conseguente, dimenticandosi - ops - di dichiarare l’oro, le spezie e i filati dentro i vasi, soggetti a una tassa più alta. Il mercante quindi gabella il gabelliere.
Come dire, fatta la legge trovato l’inganno.
Gabellare passa da questo significato a un senso più ampio e finisce per indicare l’atto di far passare una cosa per un altra:
“E mi gabella per anti-tedesco
Perché metto le birbe alla berlina”Giuseppe Giusti, Sant’Ambrogio
Ovvero:
“E mi scambia/mi fa passare per anti-tedesco
Perché mi faccio beffe dei criminali/manigoldi”***
La parola gabella - e quindi anche gabellare - vengono molto probabilmente dall’arabo al-qabàlah, «garanzia, cauzione, contratto»; e qui si apre un vaso di Pandora con dentro un gomitolo che non sono riuscita a dirimere - se qualche arabista ne sapesse di più, si faccia avanti perché sono curiosissima di saperne di più.
Al-qabàlah verrebbe dalla radice QBL, comune all’ebraico e all’arabo - entrambe lingue del ceppo semitico - che indica il rapporto tra due cose che stanno una di fronte all’altra, sia nel senso di contrapposizione che nel senso di incontro, come una corda che si tende tra due poli alle estremità di uno spettro. Ne deriva il verbo qabal, ricevere, ma anche la qabbalah, la cabala, ovvero “ciò che è ricevuto, tramandato”, e qabila, “baciare”. Tralasciando baci e cabale, la gabella prende il significato dal senso di qabal, ricevere, ovvero “ricevo una somma, una tassa”.
Sempre che il mercante non dichiari solo i vasi di coccio.
*Invece a quanto pare mi sbaglio, ma non demordo, io questo capitolo sulle tasse me lo ricordo. Qualcuno di voi mi conferma che non me lo sono sognato?
**Questo invece ho le prove che sia nei Promessi sposi - Capitolo I - anche perché questa citazione ha fatto sì che “abbondio” sia l’unica parola che io abbia mai indovinato guardando l’Eredità.
***Fun fact su Sant’Ambrogio di Giuseppe Giusti: intanto, solo una strofa più sotto rispetto a questa citazione, Giusti parla proprio dei Promessi sposi: “tal Sandro, autor d'un romanzetto / ove si tratta di Promossi Sposi”. Forse è proprio per questo che ero convinta di trovarci le gabelle.
Poi, un’altra piccola chicca da questa poesia per i milanesi/lombardi: scritta in periodo risorgimentale, definisce la zona di Sant’Ambrogio, “quello vecchio, là, fuori di mano.” Sant’Ambrogio. FUORIMANO.
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