Parole difficili - monologhi e soliloqui sui compleanni
Ciao pirata,
sei un pirata dell’ultima ora? O sei un pirata degli inizi?
Se sei qui dai primordi ti ricorderai che esattamente tre anni fa ti è arrivata la primissima mail di questa newsletter. Il 2 febbraio 2020, celebrando la festa celtica di Imbolc e dei nuovi inizi, salpava questa nave per la prima volta.
All’epoca la burrasca non aveva un argomento: le prime mail parlavano di serie tv, di amici, di libri e a un certo punto, di quarantena; in fondo, era il 2020.
La burrasca nasce perché avevo bisogno di mettere nero su bianco dei pensieri e anche di spingermi a scrivere e a disegnare (perché all’epoca avevo anche il tempo di illustrare le puntate); ero lontana dal pensare un piano editoriale e dal fare ricerche sull’argomento da proporre settimana in settimana.
Insomma, quello che volevo fare era un monologo.
…o un soliloquio?
Mettiamola in questo modo: se la burrasca è un monologo o un soliloquio dipende da voi.
Entrambi i termini designano un discorso fatto da una singola persona e, da un punto di vista etimologico, sono la versione greca e latina della stessa parola.
In italiano succede spesso: possediamo due parole, di solito composte da due elementi, che hanno lo stesso significato ma una deriva dal greco e l’altra dal latino.
Per esempio, è il caso di parole come polimorfo e multiforme: una è la somma dei termini greci poly (πολυ) molti e morfé (μορϕή), forma; l’altra la somma dei termini latini multi, molti e formis, forma.
Nel caso di monologo e soliloquio, la prima viene dal greco e la seconda dal latino: nel primo caso si tratta dell’unione di mono (μονο), solo/singolo, e logos (λογος), parola/discorso; nel secondo dell’unione di solus, solo e -loquium, derivato del verbo loqui, parlare.
Quindi, tecnicamente, la stessa parola: un discorso fatto da una persona sola.
In realtà una sfumatura diversa esiste, e viene dalla storia del teatro.
Per quanto l’atto di mettere in scena storie non sia esclusivo della Grecia Antica, sicuramente la storia del teatro occidentale e quindi di come la lingua italiana usa termini teatrali nasce in Grecia. La drammaturgia greca, soprattutto quella attica, non apprezzava particolarmente il monologo come lo intendiamo noi, in cui un personaggio esprime sentimenti che il pubblico deve conoscere ma che non possono essere raccontati ad altri personaggi, perché questa funzione era esercitata dal Coro, un canto corale che accompagnava l’intero dramma, dall’inizio alla fine. Tuttavia, e forse proprio per questo motivo, nel dramma classico il monologo di un personaggio non è un momento di riflessione personale ma un momento di interlocuzione, di rapporto con un ascoltatore che però non risponde.
È un monologo, per esempio, una lunghissima preghiera a una divinità, un’esortazione alla folla e ai sudditi, un implorazione a un altro personaggio, un’arringa in tribunale…una serie, insomma, di discorsi che non appartengono alla categoria delle riflessioni sul sottotesto di ciò che sta accadendo, ma che hanno una funzione narrativa rivolta a un ascoltatore che, per quanto muto, esiste.
Quindi, i Greci inventano questa struttura drammatica con queste caratteristiche e la chiamano, giustamente, monologo, in greco.
Un soliloquio invece è un’invenzione più recente, anche se non proprio giovanissima: appartiene infatti al teatro shakesperiano.
Se nel dramma classico la riflessione e la morale della storia erano affidate a una figura corale e di comunità quale il Coro, il teatro shakesperiano non aveva per forza una vocazione educativa e politica come quello greco e perciò aveva la possibilità di mettere riflessioni e interpretazioni in bocca a personaggi che avevano il permesso di sbagliare, essere umani, non capire, peccare.
Queste grandi riflessioni non mimano un’interlocuzione con un ascoltatore muto ma vogliono più spesso ricalcare momenti di autocoscienza, discorsi che i personaggi fanno a se stessi. Si dice che il soliloquio per eccellenza sia dell’Amleto: un uomo singolo che parla da solo rivolto al niente, in preda alla pazzia, vera o finta che sia.
Nasce quindi la necessità di distinguere questo tipo di scrittura da quella del monologo, soprattutto perché sul palco, durante la messa in scena, l’attore adotterà delle tecniche diverse per interpretare un testo rivolto a qualcuno o un testo rivolto a se stesso. Si parla quindi di soliloqui: l’etimologia delle parole è la stessa, anzi, potremmo dire che soliloquio è la traduzione latina di monologo, ma designano due sfumature diverse di un discorso fatto da una persona sola.
Conoscevate la differenza tra i due termini? Vi vengono in mente altri esempi di parole composte che hanno corrispettivi greci e latini?
Ma soprattutto, la burrasca è un monologo o un soliloquio? Dipende da voi. Io la sto recitando come un monologo, ma mi piace quando diventa un dialogo :D